…e nessuno ne restò

…e nessuno ne restò


Dieci piccoli negretti se ne andarono a mangiar,
uno fece indigestione, solo nove ne restar.
Nove poveri negretti fino a notte alta vegliar:
uno cadde addormentato, otto soli ne restar.
Otto poveri negretti se ne vanno a passeggiar:
uno, ahimè, è rimasto indietro, solo sette ne restar.
Sette poveri negretti legna andarono a spaccar:
un di lor s’infranse a mezzo, e sei soli ne restar.
I sei poveri negretti giocan con un alvear:
da una vespa uno fu punto, solo cinque ne restar.
Cinque poveri negretti un giudizio han da sbrigar:
un lo ferma il tribunale, quattro soli ne restar.
Quattro poveri negretti salpan verso l’alto mar;
uno un granchio se lo prende, e tre soli ne restar
I tre poveri negretti allo zoo vollero andar:
uno l’orso ne abbrancò, e due soli ne restar.
I due poveri negretti stanno al sole per un pò:
un si fuse come cera e uno solo ne restò.
Solo, il povero negretto in un bosco se ne andò:
ad un pino s’ impiccò e nessuno ne restò

Ve la ricordate? E’ la filastrocca appesa nelle camere dei dieci ospiti di Nigger Island, l’isola in cui i dieci vengono misteriosamente uccisi, uno ad uno, e man mano che avvengono i misteriosi omicidi spariscono anche le dieci statuette di porcellana sopra un tavolo, una per volta.

E’ la trama del capolavoro di Agatha Christie, “Dieci piccoli indiani”, e purtroppo si adatta tragicamente bene alla situazione politica che stiamo vivendo.

Se sostituiamo i “poveri negretti” con i governi conservatori europei, vediamo che stanno cadendo uno dopo l’altro, uccisi dalla politica miope di Angela Merkel che, seguendo la filastrocca, rischia di fare la fine dell’ultimo, quello che “ad un pino si impiccò e nessuno ne restò”.

Lo spiegava bene Il Foglio venerdì scorso:  “Wolfgang Münchau ieri sullo Spiegel on line proponeva  la costruzione di una statua per i caduti, nel cuore di Bruxelles. Ultimo della lista è il premier olandese Mark Rutte, ma anche la statua di Nicolas Sarkozy è già in fase di realizzazione. Al presidente francese potrebbero  poi seguire, più o meno a ruota, il premier greco Lucas Papademos e l’italiano Mario Monti”, (e ricordiamo che Papandreou e Berlusconi sono già caduti) e chissà, alla fine, avremo pure un monumento alla stessa Merkel.

D’altra parte, il prossimo 6 maggio si vota in Grecia, il 31 maggio in Irlanda ci sarà un referendum sulle regole di bilancio imposte dalla Germania, e da qualche giorno la Spagna, con un governo nuovo e una disoccupazione da paura, è stata declassata da agenzie internazionali.

Uno tsunami politico, economico e sociale che in pochi mesi ha cambiato tanto del nostro mondo, ma noi ancora facciamo fatica a raccapezzarci anche per via della forsennata campagna contro i partiti che la voce del padrone, ovvero il Corriere della Sera – quelli della vera Casta, quelli del salotto che conta per davvero – continua a fare, cannoneggiando via via su tutto quello che in politica ancora si muove, per annientarlo, spazzarlo via, e sostituirlo non si sa bene con che (ma loro qualche ideuzza ce l’hanno sicuramente). E nella cecità totale della gran parte di tutti gli altri giornali che pensano di vendere – ma non ci riescono, visti i dati disastrosi delle testate principali – seguendo il corrierone sulla scia dell’antipolitica becera.

E’ finita pure la “luna di miele” del governo Monti, i giornali hanno smesso da un po’ il bacio bavoso della pantofola. Ma adesso, diciamolo pure, al governo non ci vuole andare nessuno: nel PdL si stanno leccando le ferite, all’Udc dicono di fare un partito nuovo, e, come scriveva Travaglio, la novità sarebbero Pisanu e Dini, 156 anni in due, mentre a sinistra sanno bene che se si votasse ora vincerebbero, e la cosa li terrorizza. Che farebbero, Bersani, Vendola e Di Pietro al governo? Anche per questo il compagno Napolitano, che sempre un compagno fedele nei secoli rimane, proteggerà il governo Monti finchè può: solo così può continuare ad aiutare i compagni del PD & C., per i quali governare adesso sarebbe letteralmente una iattura, l’inizio della fine.

La mancanza di speranza è tragicamente evidente dai suicidi oramai quotidiani che vediamo anche da noi, in Italia.

Questa dei suicidi degli imprenditori e di chi ha perso lavoro, è impressionante, anche perché, sinceramente, nel nostro paese anche i più emarginati non rischiano di morire di fame, e hanno sempre diritto all’assistenza sanitaria.

E’ impressionante, specie se paragonato a quello che hanno dovuto affrontare i nostri nonni: quella generazione ha vissuto due - dico, due - guerre mondiali, i bombardamenti, la morte di tanti cari, e tanti giovani, figli e fratelli e mariti che non sono più tornati, i “dispersi”, quelli persi per sempre e inghiottiti dalla guerra, e poi la fame vera, l’emigrazione in altri continenti (anche telefonarsi era complicato, comunicavano con lettere e telegrammi), eppure, almeno nella memoria, nelle storie che ci hanno raccontato, io non ricordo di aver sentito parlare di suicidi.

Ci saranno pure stati, ma a noi è arrivata, nei racconti, la voglia disperata di volercela fare, in situazioni indubbiamente molto più pesanti e difficili e tragiche di quelle di adesso.

Dovremmo riflettere più sul perché.

Magari è anche lo stesso motivo per cui prima, anche nella miseria più totale, di figli se ne facevano tanti, e le famiglie reggevano più che adesso, e le chiese erano più piene.

Dovremmo rifletterci. E parlarne.