Proposta di parità

Proposta di parità

La maggioranza di governo fa evidentemente fatica a comprendere il concetto di “maternità”.

Ne ha dato plateale dimostrazione con il ddl Pillon, in cui padre e madre sono considerati perfettamente intercambiabili, genitore1 e genitore 2 in salsa eterosessuale, un ddl inemendabile che speriamo venga ritirato.

Ma anche altri provvedimenti della maggioranza giallo-verde mostrano questa difficoltà concettuale. Per esempio la “libertà” delle donne di lavorare fino al nono mese di gravidanza, sancita nella manovra economica: un plateale esempio della totale incomprensione di cosa sia una gravidanza, quasi che il problema sia limitato a portare un peso in pancia, un peso che, se non dà problemi di salute, non dovrebbe impedire di lavorare.

Ma d’altra parte la maggioranza riflette un pensiero abbastanza diffuso, che emerge anche dai commenti che si leggono quando si spiegano i dati sulle separazioni, come quelli offerti da Linda Laura Sabbadini – nota e importante ricercatrice ISTAT – su La Stampa, qualche giorno fa: le separazioni impoveriscono tutti, uomini e donne, ma le donne generalmente stanno peggio. Non dovrebbe essere difficile capire perché: gli effetti economici delle separazioni sulla coppia sono più pesanti sul soggetto più debole economicamente, e di solito è la donna ad esserlo. E’ la donna che lavora di meno, è la donna che rinuncia al lavoro o alla carriera, o li penalizza per prendersi cura della famiglia: bambini innanzitutto, ma anche anziani.

Ma questa rinuncia e il lavoro di cura di cui le donne da sempre si fanno carico troppo spesso si danno per scontati, e sorprende leggere commenti in cui le donne che hanno fatto questa scelta vengono trattate da “mantenute”, più o meno esplicitamente: loro, insomma, stanno a casa, non lavorano.

I tempi paritetici con i figli e il mantenimento diretto dei figli dopo la separazione, due dei quattro pilastri del ddl Pillon, nascono dalla cancellazione della differenza materna: sono proposte che funzionano solo se padre e madre sono esattamente pari nel lavoro fuori casa e in casa.

E per spiegarmi meglio, inizio l’anno nuovo con una proposta: diamo anche agli uomini la libertà di scegliere se stare a casa a prendersi cura dei figli, rinunciando al lavoro.

Cambiamo regime: lasciamo alla donna la possibilità di congedo da gravidanza e parto, da usufruirsi solo previa indicazione medica, fino al nono mese come adesso, allungando il periodo di congedo a dopo il parto solo per eventuali necessità mediche.

Cambiamo poi il congedo successivo, quello dopo la nascita, in congedo per “genitorialità” anziché per maternità, lasciando liberamente scegliere a uomini o donne di rinunciare al lavoro e stare a casa ad accudire il neonato, per i mesi necessari.

Se poi l’allattamento è visto solo come fornitura di alimento naturale, la donna potrà benissimo toglierselo per un po’ con il tiralatte, metterlo in frigo e lasciare che il suo compagno lo somministri con il biberon. E se non funziona, c’è sempre il latte artificiale, no?

Quando una buona percentuale di uomini, diciamo almeno il 50%, avrà scelto liberamente di rinunciare al lavoro per starsene a casa con i figli – e magari pure gli anziani -, o di riprendere con un part-time dopo un anno dalla nascita, lasciando le donne alla faticosa carriera lavorativa, allora potremo veramente parlare di tempi paritetici.

Aspetto di vedere file di padri ai colloqui scolastici, ad accompagnare le figlie a danza e imparare a infilare loro il tutù – d’altra parte se sono in grado di tirare avanti la famiglia saranno anche capaci di infilare un tutù – a fare l’inserimento al nido ai piccoli e a controllare i compiti a casa dei grandi, e via dicendo.

A quel punto potremo parlare di vera parità, e quindi tempi paritetici e mantenimento diretto avranno un senso.