nei laboratori cinesi….
Oggi su Avvenire spiego cosa è successo, nei laboratori cinesi, cioè i topi con “due mamme”.
Oggi su Avvenire spiego cosa è successo, nei laboratori cinesi, cioè i topi con “due mamme”.
A Lodi è successo un fattaccio.
Per una serie di motivi qua ben spiegati, e che invito a leggere, nelle mense delle scuole pubbliche a Lodi i bambini mangiano separati: chi può pagare mangia a mensa da una parte, chi non può pagare e non è riuscito a dimostrare di rientrare nelle agevolazioni mangia il panino portato da casa, da un’altra parte. Questi sono stranieri, perchè per avere le agevolazioni nei pagamenti a loro vengono chiesti più documenti che agli italiani, e alcuni, riferiti agli eventuali beni immobili di proprietà nei paesi di origine, sono difficili se non impossibili da reperire nei paesi di origine, visto che il catasto informatizzato non è mondialmente diffuso.
Ho condiviso quindi l’appello fatto da Carlo Giovanardi, Gaetano Quagliariello, Eugenia Roccella: almeno date il tempo adeguato per produrre i documenti che servono.
Vorrei essere chiara: è incivile che in una mensa di scuole pubbliche i bambini mangino in stanze separate, e cose diverse, a seconda del censo. Italiani o stranieri che siano. Giustizia vuole che, se tutti devono pagare il giusto, come è giusto, si sia messi tutti nelle stesse condizioni di poterlo fare. L’ufficio del catasto non è universalmente diffuso, specie in Africa. Certi documenti sono difficili da produrre. Lo facciano i consolati, se proprio servono.
Una prima osservazione: ma secondo voi, un ricco possidente del Burkina Fasu (che però non ha il catasto) se ne viene in Italia con i barconi, passando per la Libia, rischiando la vita in mare, perchè vuole far mangiare gratis i propri figli nelle mense di Lodi?
Una seconda osservazione: seguendo la stessa “logica”, potremmo fare qualcosa di analogo negli ospedali. Dar da mangiare ai ricoverati che pagano un ticket progressivo, secondo il reddito, e far portare la minestrina da casa a chi non può permetterselo, in particolare gli immigrati.
Fortunatamente questa enormità è venuta alla luce e si cerca di risolverla, anche grazie a chi ha generosamente dato i soldi per pagare comunque la mensa a tutti i bambini che ne hanno bisogno, in attesa che al comune di Lodi si diano una mossa dopo la figuraccia mondiale.
Comunque, resta una brutta storia. Soprattutto per chi non si è ancora reso conto della sua enorme ingiustizia.
Martedì 9 ottobre a Roma, ore 17.00 – Sala Cristallo Hotel Nazionale, Piazza Montecitorio 131
AFFIDO CONDIVISO: RIFLESSIONI E APPROFONDIMENTI
Vincenzo Bassi – Forum Nazionale delle Associazioni Familiari – Non esiste il diritto individuale alla genitorialità
Alberto Gambino – Presidente Scienza & Vita – Prof. Ordinario Diritto Civile – Affido condiviso: commenti al ddl 735
Assuntina Morresi – Comitato Nazionale per la Bioetica – Uguaglianza come genitori. Diversità di funzioni
Chiara Griffini – Psicologo giuridico e consulente – Associazione Papa Giovanni XXIII – Chi può definire l’interesse del bambino?
Modera Debora Donnini, Giornalista
FORUM FAMIGLIE
In rete si è sviluppata una discussione surreale a proposito di dichiarazioni di un prof. di fisica pisano sulle donne e la fisica. Surreale, perché di certe cose pensavo non ci fosse più bisogno di parlare. Invece no, ancora ce ne è bisogno, vista addirittura la solidarietà espressa nei confronti di questo prof. Di seguito il mio post su fb, che ha suscitato una discussione lunga e significativa: per seguirla (molto istruttiva) vi segnalo anche il link al post nella mia pagina fb, anche perchè al termine c’è chi racconta e segnala le vicende di questo prof. pisano, che spiegano tante cose (grazie Andrea Mazzeo Fazio).
Non volevo perdere tempo a confutare quanto detto dal professore di fisica pisano sulle donne e le discipline scientifiche, ma visti gli incredibili commenti che girano a riguardo, riporto di seguito quanto già ho risposto sulla bacheca di Gabriele Marconi.
Sono la prima a sostenere la profonda diversità fra uomo e donna. Ma questo prof. dice una cosa diversa: che le donne sono meno brave, cioè inferiori, e questo è falso – il fatto di avere un approccio diverso alla realtà non significa essere inferiori.
La fisica l’hanno fatta gli uomini? Certo. Anche la medicina, il diritto, tutto hanno fatto loro: per secoli le donne non sono state ritenute adatte allo studio, ma solo a fare figli, e per questo tutte le discipline sono state fatte dagli uomini. Noi non potevamo neppure imparare a leggere e scrivere, perché eravamo ritenute adatte solo a far figli, destinate alla famiglia. L’emancipazionismo nasce perché le donne non erano ritenute adatte a fare altro che i figli, e quindi non capaci a fare i giudici, non capaci a stare nei laboratori di ricerca, non capaci a fare i medici (al massimo le infermiere, cioè subalterne). Non adatte perché inferiori, non brave. Non votavamo neppure. Con il criterio di questo prof. non avremmo mai dovuto studiare materie scientifiche perché non adatte.
Io sono professore associato di chimica fisica, sono laureata in chimica, so bene che sempre più donne si iscrivono alle facoltà scientifiche, mentre nelle posizioni apicali le donne sono pochissime, ma non per mancanza di capacità: per fare carriera bisogna rinunciare spesso alla famiglia. Bisogna essere disposti a girare il mondo, frequentare laboratori di diverse università, e il momento in cui viene chiesto il massimo impegno a un ricercatore è quello in cui le donne potrebbero avere bambini. L’età in cui si produce e si mettono le basi della carriera è quella dei 25-35 anni. Molte donne fanno un passo indietro, e per questo i posti apicali sono spesso occupati dai maschi. Questo prof. si è risentito perché due donne sono state preferite a lui in una graduatoria, secondo lui ingiustamente. Non so se è vero e francamente non mi interessa, perché ho visto molti uomini occupare immeritatamente posizioni di prestigio, persone di ben più basso spessore di colleghe donne, a cui sono stati preferiti perché appartenevano a filiere di potere più importanti. E allora, di che parliamo?
Distinguiamo le capacità dalle preferenze. Noi siamo capaci esattamente come gli uomini nell’affronto delle materie scientifiche, abbiamo un approccio diverso alla realtà e alle problematiche, abbiamo a volte preferenze diverse per il lavoro. Punto
Su Avvenire un mio pezzo a proposito del “problema” insolubile degli embrioni crioconservati e la relativa situazione italiana.
Sono decine di migliaia, conservati in cliniche e centri specializzati di tutta Italia: vite sospese a -196°, spesso abbandonate da chi le aveva commissionate
ELEZIONI POLITICHE 2018, DALLA SVEZIA NUOVI VENTI DI CAMBIAMENTO
Veronica Mameli
Domenica 9 settembre 2018 gli svedesi sono stati chiamati a eleggere i nuovi rappresentanti di governo, dopo una campagna elettorale estremamente complessa: il vento che sta soffiando in Europa sta portando ovunque cambiamento.
Lo storico partito dei Socialdemocratici, guidato dall’attuale premier Stefan Löfven, ha realizzato il peggior risultato elettorale di sempre: non è più il partito col maggior consenso popolare in Svezia. Mai i Socialdemocratici avevano perso così tanti punti percentuali alle elezioni, con quasi 3 punti in meno rispetto a quelle del 2014 e fermandosi a meno del 28,5 per cento. E’ calata ancora la formazione dei Moderati, (-3,5%), così come quella ecologista, Miljöpartiet, che addirittura ha rischiato di rimanere fuori dai giochi, avendo a malapena raggiunto la soglia minima richiesta del 4%.
Seppur i Socialdemocratici e i Moderati rimangano rispettivamente il primo e il secondo partito, non hanno la maggioranza per governare e dovranno necessariamente stringere alleanze con altri partiti minori, che hanno visto aumentare i propri consensi. Tra questi i Cristiani Democratici (Kristdemokraterna) (+1,8%), la sinistra radicale (Vänsterpartiet) (+2,2%), il partito di centro (Centerpertiet) (+2,5%),ma soprattutto la destra sovranista dei Democratici di Svezia (Sverigedemokraterna) (+4,7%) che ha raggiunto il 17,6 % (anche se non corrisponde a quanto preventivato dai sondaggi che lo davano intorno al 19-20%). Quest’ultimo partito, guidato dal leader Jimmie Åkesson, è quello che ha visto crescere maggiormente il proprio elettorato,piazzandosi terzo, e acquisendo un peso rilevante nella formazione del futuro governo.
Secondo i dati ufficiali i voti perduti dai socialdemocratici e dei moderati sono andati proprio alla destra sovranista e anti-immigrazione, che ha intercettato il malcontento della società svedese.
La Svezia nell’ultimo periodo ha infatti visto cambiamenti importanti nelle proprie città e paesi, in primis in relazione alle ondate migratorie. Nel solo anno 2015 è stato raggiunto il picco di 160 mila richiedenti asilo, e fino ad oggi la Svezia ha accolto più di 200 mila immigrati, che la considerano una sorta di terra promessa per via dei generosi benefit e dell’organizzazione sociale nel suo complesso.
L’accoglienza però non coincide con perfetta integrazione, e quella che un tempo era una società aperta e multietnica ha dovuto affrontare fenomeni sociali sconosciuti e inimmaginabili fino a poco tempo fa, come la nascita e l’espansione delle cosiddette “no gone zones”, enclavi o zone-ghetto a prevalenza di immigrati africani o mediorientali, dove gli svedesi non mettono piede e che la polizia non riesce a controllare. Sono caratterizzate da un alto tasso di criminalità e di indice di disoccupazione, da consistente povertà e disuguaglianza sociale. Basti pensare alle periferie delle principali città, come Kista, Rinkeby, Husby a Stoccolma o Rosengård a Malmö, solo per citarne alcune, dove la popolazione svedese è ormai la minoranza e lo Stato non riesce più a svolgere appieno le sue funzioni.
E’ stato un giornalista svedese nel 2015 a definire queste aree come “no gone zones”, termine poi ripreso da varie testate internazionali, ma che in un Paese estremamente attento al linguaggio politicamente corretto è stato respinto dalle stesse istituzioni, per evitare di affibbiare uno stigma sociale. La polizia preferisce descriverle come “aree socio-economicamente vulnerabili con un generale alto livello di criminalità”. In questi territori si viene a creare un vero e proprio Stato nello Stato, con strutture parallele, dove vige generalmente l’estremismo religioso di matrice islamica e gli stessi abitanti non sono soliti denunciare i crimini commessi, per omertà, per timore di ritorsioni o per sfiducia completa nelle istituzioni.
Nell’ultimo rapporto nazionale della Polizia di Stato del 2018 le “no go zones” sono aumentate di numero: da 53 nel 2015 alle attuali 61, di cui 23 considerate particolarmente vulnerabili (mentre nel 2015 erano 15), 6 a rischio di diventarlo e 32 vulnerabili.
Sulle colonne del quotidiano Dagens Nyheter, i capi della polizia nazionale Dan Eliasson e Mats Löfving riferiscono che nelle 61 aree vulnerabili le reti criminali presenti sarebbero circa 200 e il numero di crimini in costante aumento: sparatorie e omicidi, compiuti anche da gang di ragazzini, traffico di armi, esplosioni di bombe a mano, stupri e molestie sessuali, lanci di pietra contro la polizia, danneggiamento e incendio di automobili e disordini vari.
Nelle aree a forte immigrazione islamica, come per esempio Rinkeby, periferia di Stoccolma soprannominata “la piccola Mogadiscio” per l’altissima percentuale di popolazione somala, la legge che vige è quella della sharia. E’ quello che da qualche anno a questa parte testimonia Mona Walter, coraggiosa attivista somala arrivata in Svezia come rifugiata nel 1994 e convertitasi poi al cristianesimo. Su di lei pende una fatwa di morte per aver abiurato l’islam e perché si batte per una reale libertà di religione in Svezia. La Walter racconta che paradossalmente si sentiva molto più libera a Mogadiscio che non a Rinkeby: era abituata a poter andare al cinema, a vestirsi all’occidentale e a vivere una vita da musulmana non praticante, come lo era la sua famiglia. Arrivata in Svezia è stata invece obbligata a leggere e studiare i testi sacri religiosi, a indossare il velo e ad ascoltare in moschea le prediche dell’imam, che parlava degli svedesi come di infedeli, criminali e meritevoli di odio, così come lo sarebbero in generale tutti gli ebrei e i cristiani.
Altro fenomeno un tempo sconosciuto in Svezia sono i consueti controlli ginecologici sulla verginità delle giovani ragazze islamiche e persino delle bambine, effettuati negli ospedali, come mostrato da un reportage trasmesso da una nota trasmissione televisiva qualche anno fa.
Molti immigrati o svedesi di seconda generazione ammettono di non sentirsi propriamente svedesi e continuano a parlare la loro lingua d’origine, a mantenere i loro usi e tradizioni, a guardare la televisione dei loro Paesi e non sentirsi integrati in una società così profondamente diversa dalle loro radici.
Non solo quindi non si può parlare in Svezia di piena integrazione e di uguaglianza fra gli svedesi e gli stranieri che vi si sono insediati: anche la libertà di credo religioso è in bilico, così come quella di stampa e di espressione. La stessa Walter dichiara alla stampa internazionale che persino lei, che ha la pelle scura ed è africana, viene tacciata di essere razzista o islamofobica perché osa criticare l’islam e il modo di vivere dei suoi connazionali in Svezia. Sostiene inoltre che persino l’Aftonbladet, testata nazionale, in occasione di una sua intervista, ha censurato l’episodio di lanci di uova da parte degli abitanti di Rinkeby contro di lei e la troupe televisiva che stava facendo le riprese nella zona. E pensare che la Svezia è stata il primo paese a introdurre la libertà di stampa e di pensiero, con la prima legge costituzionale al mondo sulla libertà di stampa, nel 1766!
Non è facile per gli svedesi, abituati a primeggiare nelle classifiche internazionali per il sistema di welfare sociale, la garanzia e il rispetto dei diritti civili e la qualità della vita, dover ammettere che il loro moderno modello sociale di cui tanto vanno fieri non è così perfetto come generalmente si ritiene.
La radicalizzazione islamica riguarda non solo l’area di Stoccolma, ma si è espansa e continua a crescere in varie parti della Svezia. Basti pensare all’area di Gotemburgo, dove si è insediata profondamente la presenza salafita e da dove proviene la metà dei foreign fighters di tutta la Svezia: dopo il Belgio è il Paese col più alto tassi di foreign fighters per abitante in Europa.
In base al Rapporto del Swedish Defence College (Försvarshögskolan) diversi attivisti islamici utilizzano conti bancari svedesi per raccogliere il denaro utile al finanziamento del jihad.
Nelle periferie di Gotemburgo circola la polizia islamica, istituzione parallela a quella statale, autoproclamatasi garante dell’applicazione della legge della sharia, che ha il compito per esempio di controllare che le donne indossino il velo e non i jeans.
La vita quotidiana delle periferie della costa occidentale svedese non differisce molto da quella di altri quartieri svedesi a maggioranza islamica, scandita dal richiamo delle preghiere dagli altoparlanti delle moschee e da un rigido controllo sociale, tanto che persino ai bambini salafiti è proibito giocare con bambini del sesso opposto o con fede diversa.
Dal versante opposto, non è invece infrequente incontrare di notte nelle città svedesi ronde di privati cittadini riuniti in associazioni di stampo neo-nazista, come ad esempio “i soldati di Odino”, che pattugliano le vie frequentate soprattutto da immigrati.
Nel voler interpretare i risultati delle elezioni in Svezia, non bisognerebbe dimenticare inoltre che il Paese ha subito nel proprio territorio un paio di gravi attentati terroristici di matrice islamica: il primo nel 2010 quando un kamikaze si fece esplodere al centro di Stoccolma e l’ultimo, il più pesante in termini di perdite civili, il 7 aprile 2017, sempre a Stoccolma, quando un camion guidato da Rakhmat Akilov travolse la folla nella via più importante della città, Drottningatan: persero la vita 5 persone e 15 furono ferite, di cui 9 gravemente. Dalle indagini della polizia è emerso che l’attentatore, di nazionalità uzbeka, si era radicalizzato proprio all’interno delle moschee in Svezia e non nel suo Paese d’origine, dove familiari e conoscenti non lo ricordavano essere un islamico devoto.
L’espandersi della radicalizzazione islamica, i copiosi flussi migratori, la complicata integrazione dei nuovi cittadini, i disordini sociali e il timore di non riuscire più a mantenere lo status quo che il glorioso welfare ha sempre dato agli svedesi, dando loro la percezione di vivere nel migliore dei mondi possibili, hanno minato la fiducia nella storica socialdemocrazia. A cavalcare l’onda del malcontento è la destra sovranista del giovane carismatico Jimmie Åkesson, che ha ripulito l’immagine del proprio partito, eliminando la coltre di razzismo e neo-nazismo epurando gli attivisti più estremisti e sostituendo l’originario simbolo della torcia ardente con un innocuo anemone dai colori giallo-blu, a richiamare i colori della bandiera nazionale.
In campagna elettorale Åkessonsi è servito sui social di foto e riproduzioni di paesaggi tipici svedesi, affiancate a quelle delle “no go zones”, come ad esempio una in cui affiancava auto bruciate all’immagine rassicurante di un tipico lago svedese, con cielo azzurro e da boschi all’orizzonte, accompagnata da slogan quali “Che Svezia scegli?” ovvero “Adattati alla società svedese oppure scegli un altro paese”. Accentuando le differenze tra i due volti della società svedese, Åkesson ha intrapreso la sua campagna elettorale affrontando i temi della sicurezza, delle politiche immigrazioniste e dei relativi costi che influirebbero negativamente sull’economia svedese e sulla disoccupazione, e non ha risparmiato critiche all’Unione europea.
In campagna elettorale sono state scambiate reciproche accuse di razzismo fra i vari partiti politici rivali e al riguardo, in risposta alle accuse dei socialdemocratici, il partito guidato da Jimmie Åkesson ha utilizzato un documentario di grande impatto, trasmesso alla tv pubblica svedese e visto su internet in pochi giorni da più di mezzo milione di utenti, dal titolo “Un popolo, un partito”. Il filmato, di quasi due ore, documenta i risvolti oscuri della storia, in parte inedita, del partito socialdemocratico e del movimento dei lavoratori fin dagli inizi del Novecento, ripercorrendo un secolo di storia svedese, da quando cioè il partito più influente della Svezia ha preso il potere, nel 1908, fino ai giorni nostri. Il documentario, usando immagini e video d’archivio, svela le pagine buie della storia del partito socialdemocratico, macchiate dal collaborazionismo stretto con la Germania nazista di Hitler e dalla contaminazione con il pensiero eugenetico. Vengono inoltre mosse gravi e pesanti accuse di antisemitismo, derivato dall’elaborazione della biologia razziale, nata in Svezia e poi sviluppatasi nella Germania degli anni Trenta, che ha portato a sterilizzazioni forzate di più di 60.000 svedesi, per lo più donne, perdurate fino agli anni Settanta.
Come la Germania ha affrontato il tema dell’Olocausto, la Svezia dovrebbe affrontare in modo più aperto di quanto faccia adesso l’utopia eugenetica che ha segnato così drammaticamente la sua storia passata.
Altra novità sorprendente nella campagna elettorale del Paese scandinavo è stato l’ingresso, seppur in sordina, del tema dell’aborto, parlando addirittura di una sua limitazione. La proposta, avanzata dai Democratici di Svezia, riguarda il cambiamento in senso restrittivo della legge sull’aborto, la l.n.318/1938 “Lag om avbrytande av havandeskap”, letteralmente “legge sulla cessazione della gravidanza”. La legge sull’aborto è entrata in vigore nell’ordinamento giuridico svedese nel 1938, principalmente per vietare che donne considerate indegne mettessero al mondo figli e ostacolassero il miglioramento della qualità umana. La legge sulla cessazione della gravidanza prevedeva anche che l’aborto per la donna con problemi di ereditarietà genetica potesse essere praticato solo se seguito dalla sua sterilizzazione. La legge n.318/1938 fu poi modificata in senso espansivo nel 1975, autorizzando l’aborto senza più ragioni eugenetiche e sociali a carico della donna.
Nello specifico, l’attuale proposta politica è quella di restringere il limite dell’aborto dalla diciottesima alla dodicesima settimana, allo scopo di armonizzare la legislazione svedese con quella europea. In Svezia, quindi, è caduto il tabù dell’intangibilità della legge sull’aborto, al contrario di quanto avviene in casa nostra, dove invece la l.n.194/1978 sembra un totem immutabile del nostro ordinamento giuridico. La politica svedese ci mostra che di aborto si può discutere: lo si può fare persino in campagna elettorale, laddove vi sia un margine di possibilità di intervento.
Vedremo se questa proposta di legge si concretizzerà. In ogni caso il dibattito culturale e politico sul tema è aperto, e staremo a vedere se le novità che giungono dalla Svezia continueranno a sorprenderci.
Rispondendo ad alcuni giornalisti in merito al ddl della Lega sull’affido condiviso, il Ministro Fontana ha risposto: “escludo che si possa parificare tutto”, facendo capire che il testo sarà rivisto.
Sono grata al Ministro per questa sua schietta dichiarazione: si sarebbe potuto limitare a dire che i contenuti del ddl sono nel contratto di governo, sostenendo quindi il testo ora in parlamento. Invece ha risposto direttamente quel che pensava, anche se si tratta di una proposta del suo stesso partito, senza fare difese a prescindere. Ancora una volta si è dimostrato coraggioso.
Gli sono grata perché qualche giorno fa ho fatto su fb una domanda – cosa pensate del ddl della Lega sull’affido condiviso? – a lui e al Comitato Difendiamo i Nostri Figli, che invece non si è ancora pronunciato, anche se qua e là in rete diversi componenti hanno manifestato apertamente il loro sostegno al testo.
E’ importante sapere cosa ne pensa il Comitato che, appunto, si chiama “difendiamo i nostri figli”, e ovviamente anche quelli delle coppie separate.
La legge proposta (fra l’altro da un partito che il Comitato sostiene apertamente) ha un impianto che contraddice tutte le battaglie fatte in occasione dei due Family Day.
Ne spiego un solo aspetto, sufficiente a far capire l’impronta del testo.
Il ddl leghista si basa sulla “bigenitorialità perfetta”, che si traduce innanzitutto nel fatto che i bambini devono passare lo stesso tempo con papà e mamma.
Il che significa che i figli dei separati vivranno in due case, per pari tempo, e quindi che saranno obbligati a vivere per pari tempo anche con i/le fidanzati/e dei propri genitori (che potrebbero essere anche persone del loro stesso sesso, e volutamente non pongo adesso la domanda su cosa fare se i genitori vivono in città diverse). E questo va considerato insieme all’art.17, che prevede, come spiega bene Paolo Carpi (Presidente Associazione Italiana di Psicologia Giuridica) che “il giudice può passare direttamente all’ordine di protezione del minore e allontanamento del genitore che ostacola la relazione del figlio con l’altro genitore, anche applicando gli articoli citati <quando, pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori, il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo a uno di essi>”.
Il che significa, in sintesi, che se papà ha lasciato mamma, e se il figlio non accetta la nuova fidanzata di papà, e lo manifesta rifiutando di andare nella nuova casa del padre (conosco diverse situazioni di questo tipo), il giudice può allontanarlo dalla mamma, anche se non c’è alcuna responsabilità da parte della madre. Chiaramente vale il discorso speculare: se mamma ha lasciato papà e il figlio si rifiuta di incontrare il nuovo fidanzato di mamma, etc.
La conclusione è chiara: per far andare il bambino in entrambe le case, in tempi paritetici, senza che il giudice intervenga, bisognerà spiegargli che va bene così, che capita a tanti bambini che papà e mamma abbiano nuovi fidanzati, che la famiglia cresce, si allarga, e che tutti si vogliono un gran bene.
E’ questo il messaggio: la famiglia allargata e ricomposta va bene, due case vuol dire due famiglie, quel che conta è l’amore. Love is love (il famoso slogan di Obama, pro nozze gay).
E questa sarebbe la proposta educativa del contratto di governo? Questo significa tutelare i bambini?
Omaggio al Ministro Fontana che ne ha preso le distanze!
D’altra parte, se l’ipotesi è che i genitori sono intercambiabili a qualsiasi età, tanto che i figli debbono passare pari tempo con tutti e due, il risultato non può che essere genitore1 e genitore2 in salsa eterosessuale.
Cosa ne pensa il CDNF, a riguardo?
Martedì prossimo al Senato sarà presentato l’intergruppo parlamentare per la Famiglia, ed è il Comitato stesso ad annunciarlo: che posizione prenderanno i parlamentari dell’intergruppo sul ddl leghista sull’affido condiviso? Come voteranno in commissione? E in Aula? E’ importante saperlo, perchè questa legge è quanto di più contrario a tutto quello per cui abbiamo combattuto. Una visione profondamente anticattolica.
Si potrebbe obiettare che questa è la realtà: la stragrande maggioranza dei divorzi avviene perché uno dei due genitori inizia una nuova relazione. Che fare?
Anziché adeguarsi allo “spirito dei tempi”, si possono proporre visioni differenti, coerenti, per quanto la situazione lo permetta, con quelle che da anni sosteniamo.
Sicuramente non si può per vendetta vietare ai figli di vedere il genitore che se ne è andato, ma bisognerà pur cominciare a dire che chi lascia coniuge e figli per un’altra persona, che magari ha anche altri figli, è un irresponsabile.
Eliminando l’assurdità dei tempi paritari, si potrebbe proporre per esempio che ciascun genitore separato potrà frequentare il proprio figlio – chiaramente a seconda dell’età e della presenza di eventuali fratellastri – nelle modalità previste dall’accordo della separazione, fermo restando che per un congruo periodo di tempo dalla separazione, ad esempio alcuni anni, non può farlo insieme al nuovo partner.
In altre parole: padre e madre sono entrambi presenti nella vita del loro figlio, nei termini decisi per la separazione, escludendo per un congruo periodo di tempo i nuovi compagni dal rapporto con i propri figli, perché è questo il rapporto che va privilegiato. Natale con mamma e Capodanno con papà, insomma, ma, per qualche anno, senza i rispettivi “fidanzati” che, a prescindere dal sesso, restano figure irrilevanti per la crescita del figlio.
In questo modo si verificherebbe un minimo anche la stabilità della nuova unione, evitando che gli amorazzi più volatili, quelli scoppiati nel mezzo del cammin di nostra vita, quelli che “si, adesso sto con lei/lui, ma il matrimonio era finito da un pezzo” (i vincitori del premio Pinocchio, insomma, che non ammettono mai le proprie responsabilità), entrino inutilmente a loro volta a far parte della vita dei bambini che subiscono tutto questo.
Una domanda finale: perché invece non abolire la legge sul divorzio breve, che favorisce divorzi e matrimoni a catena?
Affido condiviso, così non va. Parola di matrimonialista. Su La Nuova Bussola Quotidiana Benedetta Frigerio intervista Paola Mescoli, nota matrimonialista, sul ddl della Lega sull’affido condiviso. Un testo da rifare.
Condivido pienamente queste dichiarazioni del Forum delle Famiglie sul ddl della Lega sull’affido condiviso.
Vediamo di chiarirci le idee e di trarne le conseguenze.
Affido, Bassi (Forum Famiglie): “Leggi che non ascoltano il Paese reale producono disastri”
Roma, 12 settembre 2018 – “Il disegno di legge sull’affido condiviso, in esame in questi giorni al Senato, è mosso da principi condivisibili: consentire a entrambi i genitori di essere presenti nella vita dei figli, anche dopo una separazione, evitando di ridurre uno dei due in povertà. La proposta, tuttavia, appare gravemente fragile, perché crea un non meglio specificato diritto individuale alla genitorialità che rende i bambini oggetto dei diritti dei genitori. Tutto ciò potrebbe avere delle conseguenze imprevedibili, trasformando il significato stesso della genitorialità che da ‘dono al figlio’ diventa ‘diritto individuale al figlio’.
Non solo: questo disegno di legge rischia di obbligare i bambini ad accettare la convivenza con famiglie allargate e unioni diverse, nonché, imponendo modelli genitoriali rigidi, danneggia il coniuge vulnerabile che ha deciso di investire la sua vita nella famiglia. In particolare, la maternità rischia di perdere tutele importanti.
Le disposizioni proposte tolgono così al giudice ogni discrezionalità di giudizio e impongono a coppie che già sono in difficoltà per ragioni diversissime tra loro, un percorso pressoché obbligato e univoco, non tenendo conto dell’unicità che contraddistingue la relazione tra coniugi.
Inoltre, il testo non elimina le incertezze nell’applicazione della legge che hanno vanificato l’efficacia della legge del 2006”: così Vincenzo Bassi, responsabile giuridico del Forum nazionale delle Associazioni Familiari.
“I proponenti – prosegue Bassi – anziché esautorarlo, avrebbero dovuto dare più fiducia al giudice nel suo ruolo, individuando semmai strumenti formativi per rendere le decisioni a favore del bambino piuttosto che contro un genitore. In questo caso, invece, si vorrebbe introdurre una procedura che crea nuove pretese da parte dei ‘contendenti’ e, quindi, produrrà ancora più litigi tra i coniugi. Uno scenario che il nostro Paese – in cui, secondo l’ISTAT, crescono separazioni e divorzi e i giovani non si sposano più – non può permettersi, soprattutto su un tema così delicato”.
“A tutto ciò si affianca un fatto ancora più grave: è mancato del tutto il dibattito nella società civile in fase di elaborazione del disegno di legge, pur essendo questa una materia su cui trovare un comune sentire in grado di unire e non dividere, come purtroppo sta accadendo.
Per cominciare, si potrebbe partire da due spunti del DDL al fine di responsabilizzare i genitori nei riguardi del vero ‘anello debole’ della questione, il bambino: l’elaborazione di un piano genitoriale concordato, che permetta al magistrato di conoscere i figli e le loro modalità di vita; la valorizzazione del genitore disponibile a stare molto tempo con il figlio.
Il nostro auspicio è che i proponenti comprendano l’importanza della posta in gioco, iniziando a condividere l’iter legislativo su un tema tanto delicato. Le leggi sulla famiglia che non tengono conto delle voci che arrivano dal Paese reale sono destinate a produrre ulteriori disastri”, conclude Bassi.
Due segnalazioni su argomenti di – purtroppo – interesse.
La prima è di una video intervista sull’uso dei bloccanti della pubertà per pre-adolescenti con la disforia di genere: grazie a Marina Terragni che l’ha messa a disposizione nella sua pagina fb da cui copio quanto segue: “Un farmaco per bloccare la pubertà di bambine e bambini con “incertezza di genere”?
L’opinione contraria di chi ha affrontato la transizione
(errata corrige: lo studio menzionato è di Cohen-Kettenis, pasticci del correttore automatico)”
Qui la video-intervista a Massimo d’Aquino.
La seconda è di un mio pezzo su Avvenire, sulla deriva eutanasica delle varie disposizioni sul fine vita che, come tante volte avevamo detto, non si occupano più ‘solo’ di fine vita. Notizie dalla Gran Bretagna – dove è in discussione il ‘best interest meeting’ – e dagli USA.