Tutta la nostra solidarietà a Giorgio Israel, brillante docente universitario di matematica, intellettuale, ed amico.
Solidarietà doppia; un paio di settimane fa è stato oggetto di minacce: per essere consulente della Gelmini, ed ebreo (pare sia una doppia colpa, gravissima), lo hanno chiamato “puparo”, accostandolo a Marco Biagi, l’esperto in diritto del lavoro ucciso dalle Brigate Rosse. Per le minacce hanno usato un blog, chiaramente in forma anonima – pare vada molto di moda, negli ultimi tempi.
Un fatto gravissimo, al quale un paio di giorni fa ne è seguito un altro, patetico.
Piergiorgio Odifreddi, il sedicente matematico di cui nessuno sentiva la mancanza sulla scena pubblica, abbastanza intelligente da costruire la sua fortuna sulla sua abissale ignoranza sul cristianesimo in particolare e su questioni culturali in generale, insomma, Piergiorgio Odifreddi, dicevamo, ha restituito il premio Peano dell'Associazione subalpina Mathesis - uno dei più prestigiosi d'Italia per la divulgazione matematica - avuto nel 2002, perché quest’anno lo hanno assegnato a Giorgio Israel, ed Odifreddi non vuole stare nell'albo d'oro dei premiati insieme ad Israel. Secondo Odifreddi, Giorgio Israel è un fondamentalista.
Un fatto patetico, dicevamo, che dimostra lo squallore del personaggio Odifreddi, il suo cieco fanatismo, e soprattutto la sua totale nullità.
E il Corriere ha preso una “buca”… o no?
Ieri il Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, ha ricevuto Umberto Bossi e suo figlio Renzo insieme ad alcuni importanti parlamentari della Lega.
Un incontro importante, di cui Repubblica dà notizia con un pezzo titolato “Non toccate la legge sul biotestamento”: Marco Politi, che firma il pezzo, spiega in sostanza che il Card. Bertone ha detto a chiare lettere a Bossi che il testo della legge sul fine vita approvato dal Senato va bene così, e non deve essere stravolto adesso che si va in discussione alla Camera.
Un articolo che conferma quanto già noto, e cioè che sulla legge sul fine vita la Segreteria di Stato (Bertone) e la Conferenza Episcopale Italiana (Bagnasco), hanno da sempre espresso una posizione chiaramente unitaria.
Una notizia importante, quindi, dopo la sciagurata vicenda delle dimissioni di Boffo dall’Avvenire, con i veleni che ne continuano a seguire.
E Il Corriere, che ti fa? “Buca” la notizia, nel senso che si può leggere, naturalmente, il pezzo sulla visita di Bossi (E Bossi va in Vaticano da Bertone, è il titolo) ma non si parla mai della legge sul fine vita, cioè del contenuto piu’ importante dell’incontro. Secondo gli autori del pezzo – Marco Cremonesi e Gian Guido Vecchi – Bossi avrebbe parlato di “radici cristiane”, di detassare a favore dei paesi poveri, etc. Gli autori sottolineano però che “di fatto la segreteria di stato ha confermato di voler continuare a gestire i rapporti con il mondo politico. Cosa che peraltro era stata messa nero su bianco da Bertone in una lettera del marzo 2007 al neo nominato Presidente Cei, in cui lo si invitava a contare sulla rispettosa guida della Santa sede”.
Possibile che Gian Guido Vecchi, sempre ben informato, non sia venuto a sapere dell’argomento piu’ importante e piu’ attuale, quello della legge sul fine vita? Ma da chi si informa, Gian Guido Vecchi?
Oppure c’è un interesse, specie sul Corriere, a dividere la Segreteria di Stato rispetto alla CEI, specie in politica, ed accreditare una rispetto all’altra, magari distorcendone le posizioni?
Pensierino numero uno
Capisco che siamo in un periodo confuso, che la politica la fanno i giornali, che qua conta solo chi strilla e a ragionare siamo rimasti in pochi, etc. etc., ma almeno qualche calcolo elementare dovrebbe essere alla portata di tutti.
L’ultima novità sulla legge sul fine vita è che venti deputati PdL hanno scritto una lettera a Berlusconi per chiedere di rivedere il testo Calabrò, approvato al Senato. Essendo i deputati PdL 270, se ne deduce che 250 sono invece a favore del testo di legge. Di quei venti, poi, una – Souad Sbai – ha detto di non aver firmato, e un altro – Stracquadanio – è favorevole al “lodo Sacconi”, cioè alla leggina salva-Eluana, quella che impedisce di sospendere alimentazione e idratazione, cuore del testo Calabrò. E allora di che stiamo a parlare?
Pensierino numero due
Il Pd non vuole l’indagine conoscitiva in parlamento sulla pillola abortiva Ru486. Sarebbero stati d’accordo solo se si fosse fatta dopo il congresso del partito. E poi dicono che è un’indagine del tutto inutile. Ma se è inutile, qual è il problema? Che c’entra il congresso del partito, con un’indagine inutile?
Mimmo Delle Foglie ha scritto un gran bel commento al discorso di Obama ai suoi studenti, per il primo giorno di scuola. Vale la pena leggerli, discorso e commento.
La morte ha colpito anche i nostri soldati a Kabul.
Per ricordarli, vorrei invitare tutti a rileggere la straordinaria omelia del Card. Ruini, in un’analoga, drammatica occasione, quella dell’attentato a Nassiriya, in Iraq.
Per una tragica ironia della sorte, quei funerali furono una grande testimonianza di vera unità del nostro paese. Ironia, perché l’Italia è uno dei paesi meno bellicosi del pianeta: fuggiamo le guerre, ma il coraggio non ci manca, e possiamo dirlo con orgoglio. Ironia, perché quei funerali insieme alle parole del Card. Ruini
Non fuggiremo davanti a loro, anzi, li fronteggeremo con tutto il coraggio, l’energia e la determinazione di cui siamo capaci. Ma non li odieremo, anzi, non ci stancheremo di sforzarci di far loro capire che tutto l’impegno dell’Italia, compreso il suo coinvolgimento militare, è orientato a salvaguardare e a promuovere una convivenza umana in cui ci siano spazio e dignità per ogni popolo, cultura e religione
sono state forse la testimonianza più grande della vera unità del nostro popolo, unità che ha origine dalla fede comune, a dispetto di chi ancora va blaterando che è stata la Chiesa un ostacolo all’unità d’Italia …. ma mi faccia il piacere!
Omelia del cardinale Camillo Ruini ai funerali di Stato per gli italiani caduti in Iraq
18 novembre 2003
Celebriamo questa messa di esequie, funerale di Stato per i caduti dell'attentato terroristico a Nassiriya, con animo profondamente commosso ma anche con intatta fiducia in Dio e con intima gratitudine per questi nostri fratelli, il cui sacrificio è di esempio e di monito per tutti noi.
L'Italia intera ha già manifestato in molti modi, in questi lunghi giorni dalla tragica notizia dell'attentato, un affetto, una riconoscenza e una solidarietà per i caduti, per i feriti e per i loro familiari che vengono dal cuore del nostro popolo e che esprimono la sua profonda unità e la consapevolezza del suo comune destino.
Con questa messa ci rivolgiamo a Dio nostro creatore e padre, onnipotente e ricco di misericordia, e gli affidiamo uno per uno questi nostri morti e le loro famiglie, ciascuno dei feriti, tutti gli italiani, militari e civili, che sono in Iraq e in altri Paesi per compiere una grande e nobile missione, e con loro questa nostra amata Patria, la pace nel mondo e il rispetto per la vita umana.
Soltanto Dio, infatti, non può essere fermato dalle barriere della morte e soltanto il suo amore e il suo perdono sono più grandi dell'intera somma dei peccati che attraversano la storia del genere umano. Come abbiamo udito dalle parole dell'Apostolo Giovanni nella seconda lettura di questa Messa, in Gesù Cristo, risorto dai morti, Dio ci ha fatti realmente suoi figli, per il tempo che ci è dato di vivere su questa terra ma soprattutto per l'eternità, quando saremo in contatto diretto con Lui, lo vedremo così come Egli è, lo ameremo con animo non diviso e parteciperemo per sempre alla pienezza della sua vita.
Cari fratelli e sorelle, questa non è soltanto la nostra speranza, questa è la realtà del destino che attende ogni persona che si sforza di vivere con retta coscienza e generosità di cuore. Oggi, questo è il destino dei nostri caduti, che hanno accettato di rischiare la vita per servire la nostra nazione e per portare nel mondo la pace.
E questa è anche la più forte e sincera consolazione per le loro spose, figli, genitori, per i loro compagni d'armi, per tutti quelli che hanno loro voluto bene. Ascoltiamo ancora ciò che ci dice il Signore, attraverso le parole della Sapienza antica che abbiamo letto nella prima lettura: 'Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, la loro fine fu ritenuta una sciagura, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza e' piena di immortalità.
Cari fratelli e sorelle, Gesù nel Vangelo ci ha avvertiti che il criterio in base al quale saremo giudicati è quello dell'amore operoso, che sa riconoscere la sua misteriosa presenza nel più piccolo e più bisognoso dei nostri fratelli in umanità. Abbiamo perciò ascoltato con intima commozione le parole della sposa di uno dei caduti che, dopo aver letto un altro, molto simile brano del Vangelo, quello nel quale Gesù ci invita ad amare anche i nostri nemici, ci ha detto con semplicità che di quella parola di Gesù lei e suo marito avevano fatto la regola della propria vita.
E' questo il grande tesoro che non dobbiamo lasciar strappare dalle nostre coscienze e dai nostri cuori, nemmeno da parte di terroristi assassini.
Non fuggiremo davanti a loro, anzi, li fronteggeremo con tutto il coraggio, l'energia e la determinazione di cui siamo capaci. Ma non li odieremo, anzi, non ci stancheremo di sforzarci di far loro capire che tutto l'impegno dell'Italia, compreso il suo coinvolgimento militare, è orientato a salvaguardare e a promuovere una convivenza umana in cui ci siano spazio e dignità per ogni popolo, cultura e religione.
Questi primi anni del nuovo secolo e del nuovo millennio appaiono particolarmente duri, crudeli e tormentati. Troppe popolazioni inermi sono colpite, da ultimo gli ebrei delle sinagoghe di Istanbul. Ma proprio in questa circostanza chiediamo a Dio, con umile fiducia, di rinsaldare nei nostri animi la convinzione e la certezza che il bene è più forte del male e che anche nel nostro mondo, segnato dal peccato, è possibile, con il suo aiuto, costruire condizioni di libertà, di giustizia e di pace.
Mentre affidiamo alla misericordia di Dio le anime dei nostri fratelli caduti a Nassiriya, confermiamo e rinnoviamo il sincero proposito di essere degni della grande eredità che essi ci hanno lasciato.
Vorrei aggiungere un'ultima, sommessa preghiera: la tragedia di Nassiriya ha sollevato in tutta Italia una grande onda di commozione e ci ha fatti sentire tutti più vicini, ma ha anche istillato in noi una sensazione di freddo e di paura, di fronte all'incertezza della vita e alla ferocia che può annidarsi nell'animo umano.
Voglia il Signore riscaldare i nostri cuori, donare speranza e serenità soprattutto a coloro che in questa tragedia hanno perduto i loro cari e devono ora disporsi ad affrontare un futuro non previsto, più triste e più duro. E voglia dare al nostro Paese e alle sue istituzioni efficace e duratura determinazione di non dimenticarli e di non lasciarli soli. Il Signore benedica e protegga il nostro popolo e i nostri soldati.
Continuiamo a pregare per Caterina. Sul blog di suo padre, Antonio Socci, possiamo leggere quanto sta succedendo.
Posted: 13 Sep 2009 11:20 PM PDT
Ringrazio immensamente tutti coloro che in queste ore pregano per mia figlia, Caterina, 24 anni, che si trova in coma all’ospedale di Firenze per un inspiegabile arresto cardiaco.
C’è una cosa importantissima e preziosissima che si può fare: pregare! Far celebrare messe e recitare rosari per la sua guarigione è, in questo momento, la speranza più grande. Noi e gli amici lo stiamo facendo instancabilmente, anche con la recita della preghiera per ottenere l’intercessione di don Giussani (ve la copio qua sotto).
Io e tutta le mia famiglia ve ne siamo grati.
Che Dio vi benedica.
Antonio Socci
Signore Gesù, tu che ci hai donato don Giussani come padre e ci hai insegnato, attraverso di lui, la gioia di riconoscere la nostra esistenza come offerta a te gradita, concedici per sua intercessione la grazia della guarigione di Caterina. Te lo chiediamo per la sua glorificazione e per la nostra consolazione. Amen.
Con un grazie ad Anna Vercors che ha segnalato il carteggio.
Avvenire 9 Settembre 2009
BOFFO E LA LETTERA ANONIMA
E Traiano sentenziò: scritti pessimi e indegni
Assuntina Morresi
Plinio il Giovane era governatore della Bitinia negli anni 111-113 d.C. quando si trovò coinvolto in una serie di processi contro i cristiani. Non se ne era mai occupato prima, ne sapeva poco e si sentiva impreparato: decise quindi di scrivere direttamente al suo imperatore, Traiano, per raccontare quanto stava facendo e per chiedere indicazioni su come comportarsi, visto che «un gran numero di persone di ogni età, classe sociale, donne e uomini, vengono messi sotto accusa e tutto lascia pensare che la cosa continuerà».Plinio ha molti dubbi – per esempio non sa se si deve perseguire un cristiano in quanto tale, anche in mancanza di precisi atti criminali – e racconta lo svolgimento dei suoi interrogatori: fra l’altro, «è stata fatta pervenire una lista anonima che contiene i nomi di molte persone autorevoli», e di quella si è servito, spiega, precisando di aver torturato due donne per ottenere più informazioni, senza però trovare granché «degno di biasimo se non la cieca e incrollabile natura della loro superstizione». L’imperatore risponde brevemente, dando alcune indicazioni, per esempio che è sufficiente dichiararsi cristiani per essere condannati, ed approvando l’operato del suo governatore – «ti sei comportato bene, caro Plinio» – tranne che per un punto: «Le denunzie anonime non debbono aver spazio in nessun procedimento giudiziario perché sono pessimi precedenti e indegne dell’epoca nostra». Questo in sintesi un carteggio di duemila anni fa nell’impero romano, ben noto agli studiosi del settore e molto opportunamente messo in circolazione in internet in questi giorni di gogna mediatica a Dino Boffo, direttore galantuomo di Avvenire. Persino un imperatore pagano, che riteneva di dover condannare i cristiani in quanto tali, anche se non colpevoli di reati specifici, e che non si scomponeva per la tortura sulle donne, considerava le missive anonime «pessime» e soprattutto «indegne», ordinando al suo governatore di non servirsene, senza neppure porsi il problema del loro contenuto. Un rifiuto a prescindere, insomma. Ma duemila anni non sono bastati a far capire il concetto. Una lettera è anonima perché chi scrive non ha il coraggio di sostenerne e difenderne pubblicamente il contenuto, ovviamente accusatorio – mai vista una lettera anonima piena di complimenti. Un atto vile, insomma, perché chi la scrive e la diffonde non vuole prendersi alcuna responsabilità per le conseguenze delle sue azioni, e, solitamente, ne gode tanto più quanto maggiore è il danno alla sua vittima, mentre lui se ne sta tranquillamente a guardare. Un atto vile perché l’autore scrive qualcosa che non è disposto a dire pubblicamente, guardando in faccia la persona che sta accusando. Un atto vile, perché chi pretende di dire la verità non si può nascondere dietro un anonimato che è già una menzogna. Assurdo, quindi, e soprattutto ancora più vile pretendere dall’accusato di difendersi da una missiva anonima, come continuiamo a leggere e sentire in questi giorni. Il processo mediatico imbastito nei confronti di Dino Boffo non riguarda l’ammenda pagata per molestie: su quello Boffo ha già risposto pubblicamente, dimostrando e denunciando le «dieci falsità» che hanno innervato il feroce attacco del 'Giornale' nei suoi confronti. A Boffo è stato, e continua ad essere, domandato di chiarire l’autenticità del contenuto di una lettera anonima, quando i giudici competenti hanno già dichiarato che negli atti ufficiali non figurano le accuse contenute nella missiva anonima; e d’altra parte chi continua a chiedere che tutti gli atti relativi all’ammenda per molestie vengano comunque resi pubblici, dimostra non solo di non avere alcuna fiducia in Boffo – risparmiatevi, allora, l’ipocrita attestato di solidarietà – ma anche, paradossalmente, di non fidarsi neppure degli stessi giudici, i quali hanno già spiegato i motivi della riservatezza del fascicolo. Il vigliacco che si è nascosto dietro l’anonimato, e coloro che di quella missiva si sono serviti, sia per diffonderla, sia per continuare a chiedere a Boffo di renderne conto, dimostrano quindi di non essere affatto interessati a conoscere la verità, ma solo a colpire una persona, per infangarla e distruggerla. «Indegni dell’epoca nostra», avrebbe detto il pagano imperatore Traiano, cestinando il tutto.