giustizia a Teheran

giustizia a Teheran


La situazione in Iran sta peggiorando di ora in ora: continuano gli scontri in piazza e la polizia interviene pesantemente, oltre duemila le persone arrestate, spariti centinaia di oppositori del regime, probabilmente ingoiati dalle carceri degli ayatollah, oggi sono stati arrestati otto dipendenti iraniani dell’ambasciata inglese. Ci sono morti, non si sa quanti.

 La gente continua a protestare come può, per esempio lanciando in aria palloncini verdi, o cantando di notte sui tetti delle case, mentre arrivano i miliziani basiji che irrompono nelle abitazioni, sfondando le porte, spaccando gli interni. Video drammatici documentano tutto questo, per esempio qui, qua o anche qua.

Ma per tutto questo non si scaldano i cuori in Italia (e in Europa), c'è indifferenza, ed io lo trovo terribile.

Certo, nessuno degli oppositori di Ahmadinejad è particolarmente liberale, neppure quel Moussavi per il quale tanta gente in Iran sta manifestando.

Ma c’è un popolo che lotta per la propria libertà, – e come suona retorico scrivere queste parole, sembrano descrivere di qualcosa di antico, anzi, di vecchio – e vuole almeno che il proprio voto sia rispettato, pur con tutti i limiti di votazioni come quelle iraniane.

E l’Occidente sta a guardare. Non mi riferisco alle istituzioni, e neppure ai media, che stanno facendo bene il loro lavoro, ma all’opinione pubblica.

A Roma, in piazza Farnese, c’è stata una piccola manifestazione qualche giorno fa, organizzata dal quotidiano “il riformista”. Saranno stati massimo in duecento, e non c’è stata nessuna eco.

Ma dove sono i pacifisti? Perché non si mobilita il tavolo della pace, quella della marcia Perugia-Assisi? Nel sito di riferimento si sono limitati a riportare un paio di articoli tiepidi. Eppure dovrebbero traboccare di preoccupazione, indignazione, iniziative.

E perché per esempio ad Assisi, dove si è manifestato tanto per la pace, soprattutto in segno di amicizia verso l'Islam, a nessuno viene in mente di organizzare una manifestazione per quell'Islam che adesso chiede libertà?

Il 14 ottobre 2001, a un mese dall’attacco alle torri gemelle a New York, parteciparono in 250.000 per dire no alla guerra in Afghanistan.

Adesso tutto tace. Certo, non è una guerra fra stati, e soprattutto non si manifesta contro gli Usa, ma quanto sta succedendo in Iran potrebbe essere l'inizio di una guerra civile, il che non consola. E proprio le drammatiche immagini da Teheran ci stanno dimostrando – se mai ce ne fosse bisogno - che i musulmani non sono antropologicamente incompatibili con la democrazia: non ci sono ribellioni contro l’Islam, ma in nome dell’Islam (la rivoluzione è verde, perché verde è il colore dell’Islam), per la democrazia.

In questi giorni, per una strana ironia della sorte, nei giornali troviamo il ricordo di Woodstock: quarant’anni fa si celebrò il grande happening americano, mega concerto con mezzo milione di giovani, simbolo della cultura hippy e dei figli dei fiori. Tre giorni di pace e musica, adesso c’è pure un museo, ecco qua le foto.

Leggevo gli articoli, guardavo le foto, e pensavo: mezzo secolo di predicazioni e manifestazioni pacifiste, e poi quando veramente un popolo si ribella e viene represso sanguinosamente, tutti stanno zitti, nessuno reagisce, neanche un corteo - figurarsi un concerto - per i ragazzi e le donne di Teheran.

Che tristezza. Ma c’è ancora qualcuno che chiede giustizia?